Indelebile bugia


Ho imparato quanto sia inutile l’avverbio “mai”.


Credo l’abbiamo inventato apposta per essere contraddetto, che esita perchè qualcuno con aria saputa possa ricordarti “mai dire mai…”, ovviamente dopo aver compiuto consciamente l'ennesima cazzata, sicuri che l'avreste spuntata voi. Invece…

Credo sia un vero è proprio anatema: la maledizione del "mai".


“Non mi innamorerò mai di uno così"(FATTO)

“Non avrò mai i capelli corti” (TAGLIATI A ZERO)

“Non taglierò MAI più la frangia” (FATTO e RIFATTO)

“Non mi ubriacherò MAI più” (BUFFONA)

“MAI lo/la perdonerò” (Cretina ci sono cascata ancora)

“Non metterò MAI più una mascherina d’estate per la mia salute” (pandemia batte tumore come carta mangia sasso).


Quindi proporrei un minuto di silenzio e riflessione su queste tre  malefiche letterine. Forse "controverse" è il termine più adatto. In fondo però il 3 è il numero perfetto.


Uno dei "MAI" più clamorosi su cui mi son dovuta ricredere è il fatto che non avrei macchiato la mia pelle con l'inchiostro. 

Mi piacciono i tatuaggi, ma non su tutti e non tutti.

Sono convinta che un tatuaggio sia un come una formula magica che non vada fatta a caso o con superficialità; non si può tornare indietro.

Ha la solennità di una promessa, la forza di una preghiera, l'immortalità  di un ricordo. 

Vedo sempre più spesso pelli in cui si sovrappongono forme, colori e idee confuse come i loro proprietari. Moda senza pensiero, scarabocchi confusi con dei Pollock.

Un tatuaggio necessita di una testa che sappia indossarlo, vestirlo, accompagnarlo, non di un inseguitore di tendenze. Rispetto, credo che oggigiorno manchi il rispetto per i tatuaggi e per la propria pelle. Ma non è questo il punto, sto divagando, era solo per dire che MAI avrei pensato di indossare qualcosa per sempre. Per sempre è un tempo lunghissimo in cui puoi cambiare pelle 100.000 volte. 

Poi però ho incontrato Andrea: occhi azzurri, viso d'angelo e modi gentili.

Un incontro breve, imbarazzante, in cui nessuno osava guardarsi negli occhi, ma in meno di un'ora lui aveva visto il mio seno nudo e macchiato la mia pelle di inchiostro in maniera irreversibile. E io che avevo pensato che mai mi sarei tatuata per un uomo e invece...

Certo se non fosse stato il mio radioterapista probabilmente prima di tutta quella intimità avremmo bevuto almeno una birra insieme e, probabilmente, non mi sarei tatuata. Da quel giorno però due puntini verdi si sono aggiunti al milione di nei che colorano la mia pelle. Sono lì, uno sulla gola e uno sullo sterno, che si guardano sapendo di essere una parte fondamentale di me. Ho pensato spesso che se aggiungessi altri due puntini, messi nella giusta posizione potrebbero trasformarsi nella costellazione dell'Ariete. Chissà, forse un giorno.


Quel giorno però mi venne in mente che forse sfatando un "MAI" avrei cambiato le cose, così decisi! Nel momento in cui le mie dottoresse avessero firmato la remissione, io avrei avuto una data da tatuare sulla mia pelle. La data della mia rinascita. Pregai perchè arrivasse, ma la paura che non fosse abbastanza tramutò il tutto in un voto alla Madonna.


Sette anni, diverse date posticipate e innumerevoli controlli dopo, un venerdì 17 alle ore 17 la mia pelle cambiò colore per sempre. Avevo mantenuto la promessa.

Fu da subito un tatuaggio contraddittorio. Doveva essere piccolo, nascosto e di inchiostro bianco, l’importante è che contenesse un 3, un’ariete stilizzato e il 17.

L’elfica pittrice di pelle ebbe la meglio con la sua idea artistica e mi limitai a essere tela, accettando il colore e i pronzoli liberty. 

Quando l'ago terminò la sua corsa e il mio sguardo si posò su di lui a stento trattenni le lacrime. Non era commozione era panico: il gonfiore e la pelle irritata lo facevano assomigliare a un camaleonte incavolato.

Cosa avevo fatto? Forse dovevo prenderla sul serio quella cosa del “MAI”.


Ad attenderlo delle amiche e una bottiglia di vino (era un tatuaggio nato fortunato).

Il giorno dopo lo guardai con tenerezza, era bello, anche se ancora gonfio e io ero meno terrorizzata.

Non lo dissi quasi a nessuno e con il pudore di un'adolescente evitai di raccontarlo anche a mio padre, che spero non legga queste righe.


Sono sette anni che mi accompagna, mi scordo di lui e lo vedo di rado, ogni tanto si affaccia malizioso da una scollatura più profonda, mostrando i suoi fiori di Primavera.

Mi piace sapere che siano in pochi a poterlo vedere, mi piace sapere che anche al mare passi inosservato, mi piace sapere che di base siamo lui e io e che sia proprio lui la mia indelebile bugia. 











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